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200 anni fa usciva il primo numero dell’Antologia, la rivista fondata e diretta da Giovan Pietro Vieusseux

L’ “Antologia” di Vieusseux Vi giuro che quando io penso che un Giornale simile, in questo secolo, si fa e si pubblica in Italia, mi par di sognare. Giacomo Leopardi
200 anni fa usciva il primo numero dell'Antologia, la rivista fondata e diretta da Giovan Pietro Vieusseux

Nel gennaio del 1821, un anno dopo la fondazione in Firenze del Gabinetto scientifico letterario che porta il suo nome, Giovan Pietro Vieusseux pubblica il primo numero della rivista mensile “Antologia”, un “Giornale di scienze lettere e arti” destinato a lasciare un segno profondo nelle vicende culturali e politiche d’Italia. Il mercante svizzero, che con moderno intuito ha scelto di investire il proprio patrimonio in una impresa culturale nella città più cosmopolita d’Italia, rivolge anche all’editoria gli intenti innovativi del suo operare per contribuire alla diffusione della conoscenza e al progresso civile.

L’idea iniziale, espressa nel Proemio del primo fascicolo e nel titolo stesso della rivista, è quella di privilegiare la pubblicazione di articoli tradotti dalle più importanti riviste straniere, con lo scopo di mettere a disposizione di un maggior numero di lettori informazioni che, per l’arretratezza delle comunicazioni e la vigilanza politica, avevano in Italia poca possibilità di esser diffuse.  Ma ben presto le pagine della rivista cominciano ad accogliere contributi originali o sollecitati dallo stesso direttore, e l’“Antologia” acquisisce via via  una sempre più originale identità, aprendosi a una varietà di discipline come mai finora si era avuto esempio in un periodico stampato in lingua italiana: arte, storia e archeologia, giurisprudenza, economia, statistica, scienze naturali e medicina, letteratura e filologia, pedagogia, geografia e relazioni di viaggio.

Fin dagli esordi Vieusseux ebbe al fianco in questa impresa Gino Capponi, esponente particolarmente attivo e prestigioso del milieu dei cosiddetti ‘moderati toscani’, e via via che la rivista amplia il proprio orizzonte di interessi e la sua diffusione, ecco costituirsi una redazione vera e propria, con Giuseppe Montani che sovrintende all’iter di ogni fascicolo, Niccolò Tommaseo  che entra presto da par suo nella cerchia più ristretta dei collaboratori di Vieusseux, e un folto gruppo di autori che comprende  personaggi tra i più rappresentativi della cultura italiana del primo Ottocento, come Pietro Giordani, Cosimo Ridolfi, Giovan Battista Niccolini, Francesco Forti, Enrico Mayer, Giandomenico Romagnosi, Terenzio Mamiani, Emanuele Repetti. Ogni fascicolo dell’ “Antologia” aveva una consistenza di circa 150 pagine, numerate in modo da costituire un tomo ogni tre fascicoli. Nei dodici anni in cui si susseguì regolarmente la pubblicazione, furono dunque pubblicati 48 tomi,  per un numero complessivo di circa 26.000 pagine. I saggi, gli studi, le relazioni scientifiche, le notizie di nuove scoperte geografiche, i testi letterarie le segnalazioni di opere d’arte e di ritrovamenti archeologici, i  “ragguagli bibliografici” (tale era il termine usato nella sezione delle recensioni) che rendevano conto delle novità librarie nelle principali lingue, testimoniano nel loro insieme il sensazionale apporto di conoscenza che l’ “Antologia” contribuì a diffondere.

Molto di questo vasto scibile è stato studiato, e in parte anche in vario modo riproposto in volumi tematici (come Gli scritti d’arte dell’Antologia pubblicati in quattro tomi da Paola Barocchi, o il volume Notizie di viaggi lontani a cura di Maurizio Bossi) ma  moltissimo resta ancora da esplorare, perché più che l’importanza di singoli testi che vi sono apparsi (e basterà ricordare, giusto a titolo d’esempio, le tre “operette morali”  di Leopardi anticipate nell’ “Antologia” prima dell’edizione in volume, o il lungo discorso di Giuseppe Mazzini D’una letteratura europea, pubblicato sotto lo pseudonimo “Un Italiano”), gloria della rivista di Vieusseux è soprattutto la stupefacente varietà di argomenti che di volta in volta s’intrecciano nei suoi fascicoli, testimoniando l’aggiornatissima intelligenza culturale, nonché la solerte capacità organizzativa, di quanti contribuivano a realizzarli.

Se non era possibile trattare in modo esplicito di politica, diversi temi di cui nell’ “Antologia” si discuteva sovente (come l’indipendenza della Grecia,  l’istruzione popolare o le condizioni dell’agricoltura) veicolavano in modo indiretto ma sostanziale le idee di progresso su cui si andavano costituendo le forze iniziali del Risorgimento. La censura del Granducato, per quanto meno severa che in altri stati italiani, non aveva mancato di accorgersene, anche per le polemiche sollevate da altri periodici reazionari e varie interdizioni che si erano attuate fuori dalla Toscana, dal momento che il successo dell’ “Antologia” l’aveva di fatto consacrata, con la sua diffusione nazionale, una rivista “veramente italiana”. Dopo l’ultimo fascicolo dell’annata 1832, la pressione si fece non più sostenibile, in particolare per i reclami ufficiali dell’ambasciatore austriaco a Firenze, che denunciava l’eccessiva animosità di quelle pagine  “contre le Gouvernement Impérial”.

Il primo fascicolo del 1833 rimase in bozze, e l’ “Antologia” non riprese mai più le pubblicazioni, ma il suo impulso al progresso era ormai attivo nelle vicende stesse della storia italiana, un progresso che Giovan Pietro Vieusseux definiva e auspicava con queste parole: “Stringiamoci […] con un vero vincolo di famiglia tra maggiori e minori fratelli, costituiamo finalmente una vera società; cerchiamo a gara di diffondere nel maggior numero che si possa, i beni della terra, e i beni molto più stimabili della saviezza, delle virtù morali e civili, e d’una religione che sia convincimento ed affetto. Ecco quello che noi intendiamo per progresso dell’umanità”.